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Cicerone
I doveri, I, 153
 
originale
 
[153] Placet igitur aptiora esse naturae ea officia, quae ex communitate, quam ea, quae ex cognitione ducantur, idque hoc argumento confirmari potest, quod, si contigerit ea vita sapienti, ut omnium rerum affluentibus copiis [quamvis] omnia, quae cognitione digna sint, summo otio secum ipse consideret et contempletur, tamen si solitudo tanta sit, ut hominem videre non possit, excedat e vita. Princepsque omnium virtutum illa sapientia, quam sophian Graeci vocant--prudentiam enim, quam Graeci phronesin dicunt, aliam quandam intellegimus, quae est rerum expetendarum fugiendarumque scientia; illa autem sapientia, quam principem dixi, rerum est divinarum et humanarum scientia, in qua continetur deorum et hominum communitas et societas inter ipsos; ea si maxima est, ut est, certe necesse est, quod a communitate ducatur officium, id esse maximum. Etenim cognitio contemplatioque [naturae] manca quodam modo atque inchoata sit, si nulla actio rerum consequatur. Ea autem actio in hominum commodis tuendis maxime cernitur; pertinet igitur ad societatem generis humani; ergo haec cognitioni anteponenda est.
 
traduzione
 
153. Ora appunto io credo che siano pi? conformi alla natura quei doveri che derivano dal sentimento della socialit? che non quelli che derivano dalla sapienza; e lo si pu? comprovare con quest'argomento, che, se il sapiente avesse in sorte una vita tale che, affluendogli in grande abbondanza ogni bene, potesse meditare e contemplare tra s? in santa pace le pi? alte e nobili verit?, tuttavia, se la solitudine fosse cos? grande da non veder mai faccia d'uomo, finirebbe col rinunziare alla vita. Poi, quella sapienza, signora di tutte le virt?, che i Greci chiamano sofi/a da non confondersi con la prudenza, che i Greci chiamano fro'nhsij e che io definirei la conoscenza di ci? che si deve cercare o fuggire); quella sapienza, dunque, che ho chiamato signora, altro non ? che la scienza delle cose divine e umane e in s? comprende gli scambievoli rapporti tra gli d?i e gli uomini e le relazioni degli uomini tra di loro. Ora, se questa virt? ?, com'? senza dubbio, la maggiore fra tutte, ne viene di necessit? che il dovere, che dall'umana convivenza deriva, ? fra tutti il maggiore. E invero la conoscenza e la contemplazione dell'universo ?, in certo qual modo, manchevole e imperfetta se nessun'azione pratica la segue. Ma l'azione pratica si esplica soprattutto nella difesa dei beni comuni a tutti gli uomini; riguarda, dunque, la convivenza del genere umano. L'azione, pertanto, ? da anteporre alla scienza.
 

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